Aspettai di arrivare alle scale prima di scoppiare a ridere. Era incredibile, ma quel soldato mi aveva rallegrato la giornata. Da quanto non mi capitava di essere abbordata nella hall di un hotel? Secoli. Dato che mi aveva fatto sorridere, avrei concesso al Vice Maresciallo Michael Vane e ai suoi addominali, quindici minuti per presentarsi alla porta della mia stanza con la chiave che avevo “accidentalmente” lasciato sul tavolino della reception. Era carino, non aveva fede al dito e, dopo quella sera, sarei stata in viaggio per almeno un mese a scortare fuori dall’Iraq sostanze pericolose: meritavo un attimo di svago. La porta cigolò in fondo al corridoio. Fissai l’orologio, fingendomi indifferente, finché la sua ombra si bloccò giusto davanti a me.
«Dottoressa Groitgang, ha dimenticato la chiave!»
Gli strappai la scheda magnetica, feci scattare la serratura e lo spinsi all’interno della suite.
«Forse ho travisato la nostra conversazione», arrossì lievemente.
«So che cosa vuoi, lo voglio anche io, ma non dobbiamo farlo sapere a tutto l’hotel.» chiarii, lasciando scivolare il foulard sulla sedia davanti al televisore.
«Ma se hai cambiato idea non fa niente, non mi offenderò.» continuai, fingendomi imbronciata.
«Forse non ci avevo neanche sperato.» Mi fece tenerezza.
«Nemmeno un pensierino?», chiesi slacciandomi un bottone della camicetta.
«Sono sei mesi che non vedo una donna che abbia addosso qualcosa di vagamente provocante.»
«Perché non ti togli qualcosa anche tu, avrai caldo con quella divisa!»
Era immobile a fissarmi, a petto nudo a pochi passi dalla porta. Non osava avvicinarsi. Forse il mio reggiseno da due soldi acquistato all’aeroporto gli aveva fatto cambiare idea?
«Non sono abituato a una donna che mi dà ordini.»
«Dimenticavo. Sei tu il capo, giusto?» e lo spinsi contro la parete. Senza tacchi mi sovrastava di una spanna.
Il suo deodorante si spandeva attorno a me. I suoi occhi li adoravo perché sembravano sinceri. Percepivo il suo respiro sul mio collo e il suo cuore che galoppava sotto le mie dite, un cavallo imbizzarrito nel deserto. Ero elettrizzata. Ci avventammo l’uno sull’altra come due leoni in un’arena. Mi guidò sul letto e si tolse i pantaloni. Lo lasciai armeggiare col mio reggiseno e mi concentrai sul riflesso del suo sedere nella lampada sul soffitto: era uno splendore. Mi prese il viso tra le mani. Quando mi baciò rimasi senza fiato. Lo forzai a voltarsi, sdraiandomi su di lui. Sentivo il suo membro gonfio e teso sopra la mia intimità. Mi lasciai invadere e rimasi immobile per un lungo istante. Lo sentii gemere e percepii la tensione abbandonare lentamente il suo corpo teso. C’era qualcosa di animalesco e istintivo: era una sfida fisica, un confronto.
La ventola girava impazzita nella sera afosa. Cominciai a muovermi dapprima lentamente, poi a scatti dando dei colpi decisi. Sentivo le mie cosce madide di sudore sbattere contro il suo petto. Stringeva tra le mani i miei seni, tirando i capezzoli ritmicamente. Di tanto in tanto mi attirava verso di lui e faceva sprofondare la sua faccia nel mio petto. Un attimo prima di arrivare all’amplesso gettai i capelli all’indietro e mi lanciai sulla sua bocca, affamata di baci. Lui prese l’occasione al volo e ribaltò i ruoli. Indietreggiò al limitare del letto e mi tirò fino a farmi sporgere leggermente; quindi, rientrò a forza dentro di me. Sussultai per la sorpresa, ma il panorama era da urlo. Vederlo sovrastarmi con quei muscoli mi faceva impazzire. Mi tartassava il clitoride e mi penetrava così profondamente che non sapevo quanto avrei potuto resistere.
La mia esplosione questa volta lo colse del tutto impreparato. Sussultò, soffocando un gemito e poi rallentò fino ad accasciarsi sopra di me: si tirò in indietro, sedendosi accanto a me, respirava cercando di riprendere fiato. In preda all’endorfine dell’orgasmo mi sedetti sopra di lui. Lui mi baciò in fronte e poi in faccia.
«Sei stata fantastica.» disse mentre mi accarezzava i capelli.
«So che sono gli ormoni a parlare, ma lo prendo comunque per un complimento.»
Michael, si chiamava così, era diverso dagli uomini che di solito sceglievo: universitari, colti, manipolabili. Era certamente molto più prestante, ma ciò che mi spaventava era che sapeva tenermi testa, almeno in fatto di sesso.
«Ho bisogno di una doccia. Mi fai compagnia?» proposi sfrontatamente.
Michael mi guardò stupito. «Quanti mesi erano che non facevi sesso?»
«Così? Da tutta una vita…»
Pensavo mi deridesse, invece mi prese per mano e mi portò in bagno. Aprì il getto, poi si avvicinò. «Fosse per me starei sotto questa doccia con te fino alla fine della guerra.»
Stavo per ribattere, quando mi prese per le gambe, mi sollevò e mi appoggiò contro il muro. Rabbrividii. Sentivo l’acqua tiepida scivolare attorno ai nostri corpi.
«Allora rendiamolo eterno questo momento.» -gli sussurrai all’orecchio.